100 PAROLE PER RIFLETTERE – INIZIO/3

Ed esiste chi vive nella speranza di un inizio o di un nuovo inizio e chi meglio del cinico Stefano Benni può descrivercelo?

PRIMA O POI L’AMORE ARRIVA – Stefano Benni

A un passaggio a livello
lontano dal mondo
un giorno d’agosto assolato
un capostazione annoiato
vide a un finestrino
di un accelerato
una signora bruna
e più non lavorò passava
a guardare la luna
e i treni si scontravano
ma lui non li sentiva
prima o poi l’amore arriva

C’era un bancario
così serio, così serio
che non rideva mai fuori orario
ma un giorno allo sportello
arrivò un giovanotto
indubbiamente bello
aveva un assegno da un milione
della Banca Popolare
e disse sorridendo
“me lo puoi cambiare?”
e lui cambiò l’assegno e la sua vita intera
quella stessa sera
rubò la cassa e scappò via
via con lui a Bahia
e la gente parlava
ma chi la sentiva
e ballavano insieme
una samba giuliva
prima o poi l’amore arriva

C’era un politico
ladro e indifferente
non voleva bene a niente
neanche agli amici democristiani
neanche ai bambini
neanche a Fanfani
solo un pochino
lui si eccitava
se Nuccio Fava lo intervistava
ma a una seduta
molto affollata
vide una splendida deputata
le disse “amore
dimmi di sì”
e lei “non posso
son del Pci”
e perse la testa
e come un ossesso
urlava “amore non è
un problema
c’è il compromesso”
e Fanfani strillava
ma nessuno sentiva
e nel transatlantico
un sussurro saliva
e Andreotti dichiarò
alla stampa sportiva:
prima o poi l’amore arriva

C’era un bagnino
che non sapeva nuotare
ma era raccomandato
da uno zio piessì deputato
stava lì sulla spiaggia
di Gabicce Mare
a pensare, a pensare
perchè neanche la rana
riusciva a imparare
ma una bella tedesca
dai capelli biondi
urlò “aiuto annego
entro trenta secondi”
e lui come un cefalo
si tuffò nel mare
perchè in amore bisogna
saper galleggiare
la riportò a riva
e lei aprì gli occhi
e disse “mio eroe,
mio tritone, son viva”
e la spiaggia in coro:
prima o poi l’amore arriva

E c’era un barbone
senza abitazione
aveva solo la televisione
mangiava le ghiande
come i maiali
però teneva novanta canali
ma una notte d’inverno
che nevicava
e Corrado in pelliccia
da Gstaad presentava
sentì che di freddo
e di stenti e di affanni
era ormai arrivato
alla fine dei programmi
ed ecco la vide
rosa e felice
e sorridente, l’annunciatrice
che gli annunciava
“i nostri programmi riprendon domani”
e urlò “sì, domani
mia splendida diva”
e il freddo e la fame
già più non sentiva
abbiamo trasmesso:
prima o poi l’amore arriva

C’era un supergenerale
di superpolizia
arrestava e sparava
per difendere, diceva,
la democrazia
se l’era rinchiusa
e portata via
ma un giorno in un blitz
in un covo sul mare
catturò una giovane
extraparlamentare
e personalmente
la volle interrogare
e alla fine lo videro
che piangeva
lei non lo voleva
e lui le diceva
“ma non senti il fascino
della divisa?”
“La divisa è un bijou”
lei rispondeva
“ma quello che fa schifo
è che ci sei dentro tu”
e lui fece tanti blitz
ma non era più lui
e non si divertiva
e ai suoi carabinieri
gridava “At-tenti
vigilare, in riga
sparategli a vista
è un’erba cattiva”
prima o poi l’amore arriva

E c’era un uomo
che voleva esser morto
perchè nella vita
tutto gli era andato storto
scornacchiato, disoccupato
mangiò sei buste di talco borato
un chilo di Vim
duemila Rim
trecento fette di sottilette
e arrivò l’ambulanza
che già delirava
e già per spacciato
l’avevano dato
ed ecco la vide
e di colpo sentì
un brivido dentro
e all’istante guarì
com’era carina, la crocerossina
che con un sorriso
diceva “riposi è ben fortunato
si è proprio salvato
stanotte ritorno
a provarle la febbre
che l’è tutto rosso
mi tolga la prego le mani di dosso”
ma quello già tutto
bruciar si sentiva
non era il febbrone
era proprio passione
e tutto il reparto
di urli riempiva
“dottore dottore
prima o poi l’amore arriva”

C’erano dei maniaci
luridi e laidi
che si eccitavano
guardando Heidi
e un giorno in un parco
dove facevano i porci
videro due gemelle
così belle, così belle
che in tre minuti finirono
le caramelle
e dissero basta
con le perversioni
si sposarono in chiesa
e per testimoni
i quattro bruti bruti di più
vestiti in cravatta
e impermeabile blu
e il prete diceva
“beato chi lascia
la vita lasciva
prima o poi l’amore arriva

E c’erano uomini con un lavoro sicuro
e donne con le case ordinate
e una piazza dove le sere d’estate
ci si sdraiava insieme ad aspettare
un’attesa, un qualcosa, un altro aspettare
e tutte le notti
un fantasma appariva
e in tutta la piazza tuonar si sentiva
“O voi che credete che indifferenti
e rassegnati invecchierete, contenti
che non c’è una bocca che vi può ferire
o una foto sul muro che non vi fa dormire
non c’è niente da fare.
Non si può scappare! Guardate
è dietro! Vi guarda goloso
chissà da quanto lui vi seguiva
vi prenderà! Non c’è scampo!
Vi ha preso! Evviva! Evviva!
Prima o poi l’amore arriva”

STORIE DI MUSICA – IL NOSTRO CONCERTO

 “Il nostro concerto” di Umberto Bindi è un pezzo di ben 64 anni fa. Musica classica e orchestrale a colonna sonora di un testo corto ma d’impatto. Sulla canzone c’è poco da dire. Molto da dire invece sui tormenti e sul mobbing che ha dovuto sopportare e ricevere il cantautore Bindi. Uno dei cantautori più accreditati dell’epoca osteggiato e messo da parte per aver commesso l’errore di aver reso pubblico il suo orientamento sessuale in un’epoca ancora piú bigotta di quella odierna. Tanto che oggi sono pochi ad avere memoria di lui e conoscerlo. Sia ben chiaro che oggi la mentalità italica sulla questione non è che sia ancora apertissima ma quanto meno il mondo dell’arte ha quasi definitivamente abbattuto barriere e discriminazioni sul tema omosessualità. Poi mi viene difficile capire una nazione che si preoccupa più di evitare che i loro figli vedano in tv due uomini o due donne che si baciano piuttosto di due (o più) che si menano o s’ammazzano ma questa è un’altra storia.

Ps. Curiosità popolare. Questo pezzo è stato eseguito da Marco Mengoni nella terza edizione di X-factor stravinta dal cantante della provincia di Frosinone provocando le lacrime dell’imperturbabile Mara Maionchi (e non solo) che ha approfittato dell’occasione per ricordare in prima serata tv sulla rete di stato (all’epoca x-factor andava su raidue) il cantautore Bindi in una sorta di riscatto postumo. Non serve evidenziare che l’aver portato in prima serata Umberto Bindi e averlo fatto conoscere al grande pubblico è stata opera di quel geniaccio di Morgan (che a sua volta ha eseguito in passato una cover sempre di questo brano)

IL NOSTRO CONCERTO – UMBERTO BINDI

Sull’eco del concerto
Che insieme ci trovò
Ripeterò ancor la strada
Che mi porta a te

Ovunque sei, se ascolterai
Accanto a te mi troverai
Vedrai lo sguardo che per me parlò
E la mia mano che la tua cercò

Ovunque sei, se ascolterai
Accanto a te mi rivedrai
E troverai un po’ di me
In un concerto dedicato a te

Ovunque sei, se ascolterai
Accanto a te mi rivedrai
E troverai un po’ di me
In un concerto dedicato a te

Ovunque sei, ovunque sei
Dove sarai mi troverai
Vicino a te

100 PAROLE PER RIFLETTERE – INIZIO/2

L’inizio più importante è ovviamente l’inizio di tutto, la nascita di cui Prevert prova a farci un ritratto in poche parole.

PRIMO GIORNO – Jacques Prevert

Lenzuola bianche in un armadio
Lenzuola rosse in un letto
Un figlio in una madre
La madre nei dolori
Il padre davanti alla stanza
La stanza nella casa
La casa nella città
La città nella notte
La morte in un grido
E il figlio nella vita.

Fra i principali inizi che tutti ricordiamo con nostalgia troviamo sicuramente il primo giorno di scuola, giorno che Gianni Rodari prova a farci rivivere con la sua filastrocca.

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA – Gianni Rodari

Suona la campanella
scopa scopa la bidella,
viene il bidello ad aprire il portone,
viene il maestro dalla stazione
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.

100 PAROLE PER RIFLETTERE – INIZIO

“Si vivesse solo di inizi” canta Fabi nella canzone che leggeremo poi. Perchè? Perchè l’emozione di un inizio niente altro può dartelo. L’inizio di un amore, un nuovo inizio, l’inizio di un’amicizia e tutta la magia che porta. Quando inizia qualcosa fai tutto per la prima volta, ogni azione è una nuova scoperta e una nuova emozione così come in un nuovo inizio rifai tutto per la prima volta dopo tempo che ti mancava. Purtroppo non può essere tutto e sempre un inizio. Allora subentra la routine, la noia e la rassegnazione. Ma sta a noi a cercare di fare in modo che ogni giorno non si uguale, che ok un inizio non può essere per sempre ma possiamo evitare di andare verso una triste fine. Ma attenzione come è vero che non esiste un lieto fine è altresì vero che non sempre l’inizio è lieto. Nella nostra vita ci troviamo anche ad affrontare inizi che non vorremmo provare.


COSTRUIRE – Niccolò Fabi

Chiudi gli occhi
immagina una gioia
molto probabilmente
penseresti a una partenza

ah si vivesse solo di inizi
di eccitazioni da prima volta
quando tutto ti sorprende e
nulla ti appartiene ancora

penseresti all’odore di un libro nuovo
a quello di vernice fresca
a un regalo da scartare
al giorno prima della festa

al 21 marzo al primo abbraccio
a una matita intera la primavera
alla paura del debutto
al tremore dell’esordio
ma tra la partenza e il traguardo

nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è potere e sapere
rinunciare alla perfezione

ma il finale è di certo più teatrale
così di ogni storia ricordi solo
la sua conclusione

così come l’ultimo bicchiere l’ultima visione
un tramonto solitario l’inchino e poi il sipario
tra l’attesa e il suo compimento
tra il primo tema e il testamento

nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire
e costruire è sapere e potere
rinunciare alla perfezione

ti stringo le mani
rimani qui
cadrà la neve
a breve

IL BAGAGLIO


Ho scelto di prendere e partire
creare un pianeta nuovo e con piú stile.
Partire con Eugenio e il suo marziano
su una stella riscoprirmi un po’ più umano.
Ho preso una valigia per riempire
il bagaglio da cui ripartire.

Ho messo tutti i dischi di De André,
I testi di Gaetano e di Guccini.
I gol di Del Piero in Champions League
Fabio Grosso e il gol nel 2006.

Ho messo i sorpassi di Schumacher
e le scalate in bicicletta di Pantani.
I film di Troisi e il suo postino di Neruda
e quindi anche Skarmeta con il libro.

Ho messo il violino di Branduardi
e Luigi Tenco a Sanremo 67.
Benigni che abbraccia Berlinguer,
La Vita è bella e l’oscar in USA.

Ho messo le canzoni di Vecchioni,
Stefano Benni, la Merini e Kurt Cobain.
Le giocate funamboliche di Messi,
ziggy stardust e David Bowie in space oddity.

Ho messo le parole di Luther King,
Jfk, Bob Dylan, Elton e blowin in the wind.
L’elettronica futuristica di Camerini,
i film di Woody Allen e Midnight in Paris.

Ho messo Lucio Dalla e la sua Cara
Michael Jackson e il suo passo sulla luna.
La pizza e la piadina romagnola
il 7 aprile, le puzzole e i pulcini.

Ho messo Charles Bukowski e Dorian Gray 
e il Vaffanculo a tutti di Masini.
Le dimissioni del 2011 di Berlusconi 
e quel mio walkman che non gira più.

Ho messo la prima volta che vidi il mare,
i giocattoli e la sala giochi che non c’è più.
Battisti, la chitarra in spiaggia e il falò
e la filmografia di De Curtis alias Totò.

Ho messo i 4 ragazzotti beat di Liverpool
E la sola Queen inglese ossia la band.
Tutti gli sbagli “giusti” che rifarei
ma non le scelte “giuste” che sbagliai.

Ho messo tutto questo e molto più
adesso sono pronto, salto su
ma non come Finardi che pentito
voleva tornare indietro al suo paesino.
Qui si resta seppur con un quesito tra le stelle
chissà se le extraterrestri sono belle.

Questa “degressione”, come sono solito chiamare tutto quello che scrivo, nasce da un doppio spunto e una doppia ispirazione. Chiaro l’ispirazione finardiana e del suo extraterrestre ma anche abbastanza evidente lo spunto dettato da Luca Barbarossa e la sua “Le cose da salvare”. Il bello di questo “componimento” è quello che chiunque può proseguire mettendo le cose che si porterebbe nel suo viaggio su una stella o su un nuovo pianeta. E allora perchè non farlo commentando qui sotto con quello che vi portereste?

100 PAROLE PER RIFLETTERE – INCONTRO/SPECIALE SCRISSI

Dieci anni fa, a proposito di incontro, mi capitò di scrivere questo racconto dove un incontro è fondamentale per il protagonista per raddrizzare la sua vita e il suo futuro

FIGLIO DELLE STELLE

Scarica il racconto “Figlio delle stelle” per averlo sempre con te

Matteo era un esile e gracile ragazzo di 16 anni, timido e introverso frequentante il terzo anno di ragioneria. Si potrebbe parlare di lui come di un qualsiasi altro ragazzo non fosse per la sua vita segnata dalla solitudine. Matteo infatti non aveva mai fatto amicizia con nessuno e non parlava mai se non con i suoi genitori e… con le stelle. Si! Matteo aveva questo malvisto vizio di parlare alle stelle. Ogni sera, prima di andare a letto, saliva su una piccola collinetta posta dietro casa sua, si sdraiava e fissava le stelle donando loro tutte le parole che aveva risparmiato e trattenuto in quella giornata.

Questa sua fama di conversatore con i corpi celesti luminosi aveva ben presto fatto il giro del piccolo paese in cui viveva e frazioni limitrofi per non parlare poi del fatto che tra i compagni di scuola giravano barzellette e battute sul suo povero conto. D’altronde era un bersaglio facile e quando si trova una così possibile ricca fonte di popolarità i ragazzi non se la fanno fuggire, vi era proprio una gara alla battuta più divertente sul suo insolito carattere.

La svolta nella silenziosa vita di Matteo avvenne così d’improvviso quando il suo istituto scolastico, nella smania della sempre più divagante imitazione statunitense, avvallò l’insolita proposta di indire una gara di ballo della scuola obbligandone la partecipazione a tutti gli studenti pena l’abbassamento del voto in condotta. Matteo il cui rendimento scolastico era a dir poco eccellente, non aveva alcun intenzione di veder decurtato così un suo voto. Doveva e voleva quindi partecipare al ballo ma un ostacolo, forse per lui insormontabile, si presentava. Il ballo era aperto esclusivamente alle coppie.

Da quando aveva saputo della serata di ballo il tempo che passava sulla collinetta era maggiore e aumentava via via che l’evento si avvicinava. Se avesse potuto ballare con una stella sarebbe stato tutto più facile pensava. A loro aveva sempre parlato e loro l’avevano sempre ascoltato cosa che invece non aveva mai fatto con nessuna persona, figurarsi con una ragazza.

Quando la festa era ormai prossima e lui ormai era rassegnato a non presentarvisi successe che una ragazza, d’aspetto carino anche se trascurato e molto impacciata, gli si avvicinò nei corridoi della scuola e gli chiese in modo balbuziente se l’avesse accompagnata al ballo. Per risposta Matteo annui con un cenno della testa non palesando quella gioia che in realtà gli stava esplodendo dentro. La ragazza si presentò come Asia, frequentante ovviamente lo stesso istituto e al 5° anno di geometra. Non ottenendo da Matteo alcuna risposta e alcuna informazione sul suo conto lo salutò dandogli appuntamento alla sera del ballo.

Arrivò quindi la sera del ballo. Quando Matteo entrò nella palestra della scuola che ospitava la serata al fianco di Asia si trovò di fronte una scena tutt’altro che coinvolgente. Gran parte dei ragazzi sedevano ai tavoli, in mano sfoggiavano l’ultimo modello di smartphone con la quale navigavano e conversavano sui social network, altri ragazzi si reggevano a fatica in piedi circondati da un’innumerevole quantità di bottiglie dei più svariati alcolici vuote. I pochi che ballavano si dimenavano in modo quasi epilettico su canzoni che ignoravano l’esistenza delle 7 classiche note ma ripetevano un’unica nota tecnologica il cui unico suono ottenuto era un fastidioso e ripetuto TUNZ e non vi era alcun contatto fisico fra le coppie. L’unica coppia che si dedicava ad un valzer fuori contesto era quella formata dalla professoressa d’italiano e il professore di educazione fisica.

Quando la maggior parte dei presenti si accorse di Matteo decise di movimentare la serata cominciando a schernirlo. Volarono così insulti e risate ironiche non nascoste ma proprio di fronte lui. Asia prima di finire al centro delle offese si delineò e prese da lui le distanze. Matteo scappò fuori nel cortile sempre nel suo silenzio. Quando Asia lo raggiunse lo trovò in piedi fermo con lo sguardo fisso sul firmamento.

“Devi ammettere che sei un ragazzo strano” disse Asia osando interrompere quel silenzio che si era creato “Non è normale parlare alle stelle”.

“Io sono un ragazzo strano? Non è normale parlare alle stelle?” rispose Matteo cogliendo di sorpresa Asia e proseguì “Non è strano parlare tramite social network con la persona che magari abita solo di fronte a casa tua? Non è strano passare le proprie serate come fanno quei ragazzi là dentro che non si reggono in piedi e se arrivano a casa lo fanno strisciando? Non è anomalo essere in compagnia di tante persone ma non parlarci perché isolati da delle cuffie sulle orecchie? Io non converso con le stelle, non sono matto, so che non potranno mai rispondermi in modo diretto. Io a loro lancio tutti i miei desideri, i miei sogni, le mie speranze certo che qualcuno in qualsiasi parte del mondo fissando anche lui il cielo possa scorgerli e rendersene partecipe”.

“Credi davvero che tutti i ragazzi siano come tu li descrivi?” esordì Asia “Esistono ragazzi che giocano per strada, ridono e scherzano. Non tutti passano le loro giornate sui social network, non tutti cercano divertimento nei bicchieri di alcol. Esistono milioni di ragazzi come te e in fondo anche come me che sanno non essere vuoti come tu stai generalizzando. Anche lì dentro in quella palestra li puoi trovare. Perché non te ne accorgi? Perché come tutti dai più importanza e peso a chi invece fa di tutto per darti ragione, perché sono quelli che fanno più “notizia” o “scalpore”. Non parleranno forse alle stelle come te ma ogni tanto un occhio in su lo buttano, gioiscono per quanto sono belle quelle stelle e magari per un attimo non pensano al buio che potrebbe attenderli nel futuro di questa società sempre pronta a giudicarli male anziché accoglierli a braccia aperte e lasciargli il mondo nelle mani come è giusto che sia. Siamo un po’ tutti figli delle stelle”.

Matteo continuava a fissare il cielo con gli occhi lucidi. Si voltò poi verso Asia. La prese tra le braccia e disse “Ti devo un ballo” e diedero il via a una dolce e intensa danza stretti l’uno all’altro sotto a quel firmamento di stelle che sembravano brillare ancora più intensamente riflesse nei loro occhi.

Da allora Matteo era un po’ meno silenzioso e molto meno solo, sulla collinetta ci andava ancora ma ora era solito portarci gli amici e le stelle non sembravano affatto gelose di quell’insolita compagnia.

100 PAROLE PER RIFLETTERE – INCONTRO/4

Le strade di due persone, di due cuori, sono a volte tortuose e quando si incontrano è stupido allontanarsi rischiando di non trovare più la strada per ricontrarsi. Questa la morale della storiella indiana che raccontava Ghandi.

PERCHE’ SI GRIDA? – GHANDI

Un giorno, un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli: “Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?” “Gridano perché perdono la calma” disse uno di loro. “Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?” disse nuovamente il pensatore. “Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti” replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare: “allora non è possibile parlargli a voce bassa?” Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore. Allora egli esclamò: “Voi sapete perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E’ questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano.” Infine il pensatore concluse dicendo: “Quando voi discuterete non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare”.

100 PAROLE PER RIFLETTERE – INCONTRO/3

Nell’estratto che segue vediamo come un incontro così fortuito in un momento di smarrimento possa rivelarsi per la bambina protagonista di un modo per crescere, per imparare cose nuove e avere occhi nuovi per la visione del mondo. Un incontro che lascerà per sempre il suo segno nella vita della ragazza

LA BAMBINA STRISCE E PUNTI – EMANUELA NAVA

Sulla sponda di un fiume era seduto un ragazzo. Non era nudo, parola mia, e non era neppure dipinto a strisce e a punti come il marito di Amina. Ma capii ugualmente che si trattava di un maschio. Per certe cose ho intuito. Ma a prima vista corsi il rischio di scambiarlo per una femmina. Per forza, indossava un gonnellino molto corto, e aveva una collana di pietruzze bianche al collo. E in testa aveva uno chignon a forma di barca. Un’acconciatura fatta a canoa con i remi e la rete da pesca. “Ciao, mi sono persa!” gridai “sai indicarmi la strada che porta alla capanna di Amina?” Il ragazzo non si girò. Mi avvicinai. “Ho perso la strada” gli dissi ancora, “conosci Amina?” Il ragazzo con il gonnellino lanciò il sasso nell’acqua e continuò a guardare il fiume. Allora lo afferrai per un braccio, lo guardai dritto dritto negli occhi come fanno i  pugili prima del combattimento e gli urlai: “ dico a te, sei sordo?” Lui mi fissò e rispose: “ sì sono sordo”. Capii subito che non stava scherzando “sono sordo, ma leggo le tue labbra. Se ti guardo mentre parli, capisco quello che dici” esclamò.  “Davvero?!” chiesi con un filo di voce, prudente, per paura di dire un’altra sciocchezza. “Certo. Vuoi provare anche tu?” Parlammo in silenzio. Senza suoni. Come nei film muti. Giocammo insieme a leggere le labbra. Fu facile. Parlammo a lungo e io non dissi più scemate, perché chi ascolta con gli occhi fa molto più attenzione a quello che dice e quando é il suo turno pensa sempre prima di parlare. Se non ci credi, Zega, puoi provare. Mi disse che si chiamava Kimu, che aveva 15 anni, che abitava nella foresta e che era sordo dalla nascita ma non ne soffriva. Anzi, non gliene importava proprio niente. “ Tu senti con le orecchie, ma io sento con gli occhi e con la pelle. Con gli occhi leggo le tue labbra e con la pelle intuisco il trillo delle cose. Posso ballare al ritmo di un tamburo sai. E posso sentire l’arrivo di un pericolo. Quando c’è un leone nelle vicinanze mi vengono i brividi” disse queste e altre cose meravigliose. Poteva intuire il ruggito di un leone e anche il canto festoso degli uccelli all’alba. Poteva distinguere l’urlo di un babbuino dal barrito di un elefante. Poteva riconoscere lo scroscio violento di una cascata dal borbottio impetuoso di un fiume in piena. Poteva sentire, perché ogni cosa che vive e si muove produce un trillo, un’oscillazione leggera, un soffio che l’intuito e il corpo possono percepire. “Allora non é vero che sei sordo?”. gli dissi tutto d’un fiato. “No, ma chi ci sente con le orecchie mi chiama così” . Mi tappai le orecchie. Ma dentro di me sentivo solo il cuore battere forte. “Così non sento il fiume”! esclamai a voce alta. “Chi è abituato a sentire con le orecchie ha l’intuito pigro. Ma tu hai saputo leggere il movimento delle mie labbra. Segno che non sei tanto pigra e che ti piace giocare. Un po’ d’intuito lo devi avere anche tu!” Sorrise. Lo guardai e diventai rossa. Per forza, quel ragazzo con la gonna e lo chignon era più bello e più intelligente di Ulisse (che, a pensarci bene, portava anche lui la gonna). “In Africa, se diventi rosso, nessuno se ne accorge” rise “ abbiamo la pelle troppo scura perché si veda. Per questo nessuno di noi si vergogna per questioni tanto sciocche. Nella foresta gli uomini possono tingersi i capelli di tutti i colori, possono farsi le trecce e lo chignon, possono indossare gioielli e gonne. O possono girare nudi perché nella foresta gli uomini sono liberi”. In cielo un bucero batteva forte le ali. Kimu mi indicò la strada per raggiungere la capanna di Amina, mi strinse la mano e mi salutò. Ma prima di andar via gli chiesi: “ perché hai lo chignon a forma di barca?” “Perché sono un pescatore” rispose. Salì su una lunga piroga di legno e remando dolcemente attraversò il fiume. Lo vidi allontanarsi sull’acqua, sempre più lontano. Un puntino che si confondeva con le canne alte della riva. Gli feci ciao con la mano, ma sentivo già una grande nostalgia. 

PRIMO MAGGIO, SU CORAGGIO

Mentre nell’insolita cornice del Circo Massimo prosegue il concertone con il suo carrozzone d’artisti (con qualche intoppo iniziale dovuto alla pioggia torrenziale) facciamo una seconda parentesi con le canzoni dedicate al primo maggio.

Prima vorrei fare una premessa riguardante il concertone di Roma. Ermal Meta che per mancanza di corrente elettrica intrattiene con un’esibizione fuori programma chitarra acustica e voce intonando Halleluja è qualcosa di cui avevamo bisogno e non lo sapevamo. Altra premessa è: tenete d’occhio Anna Castiglia e Mille perchè sono due cantautrici eccelse.

La seconda canzone per celebrare il primo maggio è recente e abbastanza scontata. Caparezza e il suo lavoratore che sotto il sole si spacca le nocche, Luigi delle Bicocche. “Eroe” infatti è la fenomenologia di un lavoratore medio che per mantenere famiglia deve sottoporsi anche a sopprusi e abusi sul luogo di lavoro. Cosa che anche se può non sembrare nel 2024 è più comune di quanto pensiamo. Noi stessi non ce ne accorgiamo ma sicuramente ne siamo vittima, solamente che lo scambiamo per normalita.

EROE – CAPAREZZA

Questa che vado a raccontarvi
È la vera storia di Luigi delle Bicocche
Eroe contemporaneo
A cui noi tutti dobbiamo la nostra libertà

Piacere, Luigi delle Bicocche
Sotto il sole faccio il muratore e mi spacco le nocche
Da giovane il mio mito era l’attore Dennis Hopper
Che in Easy Rider girava il mondo a bordo di un chopper
Invece, io passo la notte in un bar karaoke
Se vuoi, mi trovi lì, tentato dal videopoker
Ma il conto langue e quella macchina vuole il mio sangue
Un soggetto perfetto per Bram Stoker
Tu che ne sai della vita degli operai
Io stringo sulle spese, goodbye macellai
Non ho salvadanai da sceicco del Dubai
E mi verrebbe da devolvere l’otto per mille a SNAI
Io sono pane per gli usurai, ma li respingo
Non faccio l’Al Pacino, non mi faccio di pachinko
Non gratto, non vinco, non trinco nelle sale bingo
Man mano mi convinco, che io

Sono un eroe perché lotto tutte le ore
Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari
Dalle mani dei sicari, dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere
Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere
Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere

Stipendio dimezzato o vengo licenziato
A qualunque età io sono già fuori mercato
Fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato
Invece torno a casa distrutto la sera
Bocca impastata come calcestruzzo in una betoniera
Io sono al verde, vado in bianco ed il mio conto è in rosso
Quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
Su, vai a vedere nella galera
Quanti precari sono passati a malaffari
Quando t’affami, ti fai nemici vari
Se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari
Finisci nelle mani di strozzini, ti cibi
Di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini
Né l’Uomo Ragno né Rocky né Rambo né affini
Farebbero ciò che faccio per i miei bambini

Io sono un eroe perché lotto tutte le ore
Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari
Dalle mani dei sicari, dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere
Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere
Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere

Per far denaro ci sono più modi potrei darmi alle frodi
E fottermi i soldi dei morti come un banchiere a Lodi
C’è chi ha mollato il conservatorio per Montecitorio
Lì i pianisti sono più pagati di Adrien Brody
Io vado avanti e mi si offusca la mente
Sto per impazzire come dentro un call center
Vivo nella camera duecento trentasette
Ma non farò la mia famiglia a fette perché sono un eroe

Sono un eroe perché lotto tutte le ore
Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari
Dalle mani dei sicari, dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere
Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere
Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere

Per dare sfogo alla sua rabbia
Luigi imbracciò la chitarra elettrica
E divenne una rockstar
Durante un concerto al magazzino del legno
Spaccò lo strumento sull’amplificatore
Creando un varco spazio-temporale
Che riportò l’umanità alla sua essenza

PRIMO MAGGIO, SU CORAGGIO

Sono molteplici le canzoni che parlano del primo maggio, perle cantautorali che hanno tracciato un solco nella storia della canzone italiana. Alcune le potete trovare sul profilo instagram @cantautorando_scrivere e alcune le pubblicherò qui nel corso della giornata. Tra la visione di un concertone e l’altro potrebbe essere che qualcosa qui venga pubblicata.

Partire dalla Locomotiva di Guccini è troppo scontato, un po’ banalotto e mi piace essere imprevedibile. Quindi direi di partire con una versione meridionale de “La Locomotiva” firmata da quel genio di Rino Gaetano. Primo album, Ingresso Libero, traccia “Agapito Malteni, il ferroviere”.

Malteni era un ferroviere che decise, stanco di essere sottopagato, di dirottare un treno per protesta. Piano che venne sventato da un collega, anche lui di buon cuore, ma con meno coraggio e meno ideali per la testa.

AGAPITO MALTENI IL FERROVIERE

Agapito Malteni era un ferroviere
Viveva a Manfredonia giù nel Tavoliere
Buona educazione di spirito cristiano
Ed un locomotore sotto mano

Di buona famiglia giovane e sposato
Negli occhi si leggeva, molto complessato
Faceva quel mestiere forse per l’amore
Di viaggiare sul locomotore

Seppure complessato il cuore gli piangeva
Quando la sua gente andarsene vedeva
Perché la gente scappa ancora non capiva

Dall’alto della sua locomotiva
La gente che abbandona spesso il suo paesello
Lasciando la sua falce in cambio di un martello
Ricorda nei suoi occhi nel suo cuore errante
Il misero guadagno di un bracciante

Una tarda sera partì da Torre a Mare
Doveva andare a Roma e dopo ritornare
Pensò di non partire o pure senza fretta
Di lasciare il treno a Barletta

Svelò il suo grande piano all’altro macchinista
Buono come lui ma meno utopista
Parlò delle città di genti emigrate
A Gorgonzola oppure a Vimercate

E l’altro macchinista capì il suo compagno
Felice e soddisfatto del proprio guadagno
E con le parole cercava di calmarlo
Fu una mano ad addormentarlo